STORIA, STORIA, NON POLITICA…Chi non ha memoria del passato è destinato a ripeterlo A proposito di Mario Scelba

Mi scuso con quei 24 lettori (uno in meno di quelli ipotizzati dal Manzoni) per questo articolo che si colloca in continuità con il numero precedente dove rispondevo ad un certo signore. Non è un fatto personale e sono dell’avviso che quanto mi ha insegnato mia madre (che ha frequentato solo la prima elementare) mi abbia dato molto molto di più di migliaia di libri letti e studiati. Uno dei suoi insegnamenti, che porto nel mio cuore e nelle mie azioni, è il principio secondo il quale “si ad ogni cani chi passa ci vo’ tirari ‘nna pitrata,’ un ci su petri chi abbastanu”. Mia madre inoltre mi ha insegnato a mantenere le promesse e a tener fede alla parola data. Nel mio articolo parlavo di Scelba come mandante della strage di Avola. Lo è. Anche se questa è avvenuta dopo il suo ritiro di stile berlusconiano, la Celere e i questurini li ha inventati lui. Fu poi Restivo il mandante più prossimo. Mario Scelba, democristiano e allievo di Don Sturzo venne chiamato al Ministero degli interni nei primi mesi del 1947 e lì rimase inchiodato col culo sulla sedia fino al 1953. Nel 1954 e nel 1960 tornerà sulla stessa sedia ancora calda delle sue terga del Ministero. Scelba venne nominato proprio perché si era alla vigilia della esclusione di comunisti e socialisti dal governo. De Gasperi voleva il centrismo, lontano da fascisti e da comunisti (si leggano prima di parlare a vanvera i “Diari” pubblicati da Einaudi) mentre Scelba constatò come “la polizia fosse inquinata dai comunisti e quindi non fosse ancora in grado di difendere la libertà dal pericolo rosso, con quella inflessibile determinazione che avrebbe reso necessaria la possibilità di sparare”. Da qui il suo primo provvedimento, che consistè nell’eliminazione, dai Reparti di pubblica Sicurezza, dei partigiani sospettati di simpatie comuniste. Ma diamo la parola a Scelba: “Perciò presentai subito un altro decreto al Consiglio dei ministri per liberare la polizia dal precedente decreto. Fu un avvenimento di sicuro effetto politico e psicologico. La maggioranza dei partigiani abbandonò la polizia…Per quelli rimasti, pensai di trasferirli nelle lontane isole. Anche questo trasferimento indusse molti partigiani che erano del Nord ad abbandonare la polizia”. (M. Scelba, Per l’Italia e per l’Europa, Cinque Lune, Roma, 1990, pag. 56). Ecco: il primo licenziamento senza giusta causa lo dobbiamo a lui, siciliano. Oltre al disagio psicologico (vedi gli esondati, quelli dell’Ilva, gli esclusi da Marchionne, i cassaintegrati, i precari di oggi, i licenziati a 50 anni…di oggi) ci fu quello economico. Va bene che i comunisti mangiavano i bambini, ma sicuramente non avrebbero mangiato i LORO bambini. Chi mangiò i loro bambini fu la fame. E la fame induceva i lavoratori a manifestare. Scelba fu il braccio armato di una politica economica tesa a salvaguardare i ricchi e i possidenti (Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992, Il Mulino, Bologna, 1993). All’indomani dell’attentato a Togliatti del luglio 1948, Scelba mobilitava la polizia creando la Celere, reparti di polizia fortemente ideologizzati in cui si implementava la mistica dell’ordine. I reparti della Celere venivano soprattutto concentrati nelle regioni “rosse” e nelle città industriali, nella capitale e nelle zone calde del conflitto sociale. Sulla strage di Portella della Ginestra, (1 maggio 1947) pesa ancora l’ombra lunga di Scelba che dichiarò (alla Costituente subito dopo e sul Giornale di Sicilia il 9 maggio): “Il delitto si è consumato in una zona fortemente limitata…Si spara sulla folla dei lavoratori non perché tali, ma perché rei di reclamare un nuovo diritto. Si vendica l’offesa, così come si sparerebbe su un singolo, per un qualsiasi torto ricevuto, individuale o familiare…”. Le parole sono pietre. E’ come se avesse detto: “I siciliani? Gente arretrata e selvaggia, si ammazzano tra loro come cani. “Trentaquattro vittime (11 morti, di cui 2 bambini, e ventisette feriti rimasero a baciare quella terra che volevano lavorare. Due Bambini. Che torto avrebbero potuto fare? E a chi? Basta. Ho abusato troppo della vostra pazienza. Ma la storia è memoria. Il presente è memoria. E chi non ha memoria del passato è destinato a ripeterlo (v.p.)


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