Sulla chiesa dell’Immacolata di Castelvetrano

La locuzione latina di Giovenale: “Mens sana in corpore sano” spesso corrisponde a verità. Il sig. Michelino Giacalone, molto noto ai Castelvetranesi avanti negli anni, è arrivato in discrete condizioni di salute alla rispettabile età di 95 anni grazie alla sua invidiabile lucidità mentale. E’ da tempo che voleva parlarmi per raccontarmi alcuni episodi della vita castelvetranese, noti solo a lui e degni di essere ricordati. Il notaio Giuseppe Giacalone di Castelvetrano, bisnonno di Michelino, morto il 20/6/1860, durante la sua vita ha voluto fare il dono di una campana alla chiesa dell’Immacolata. La campana fu ordinata e fusa presso una fonderia che esisteva in fondo al primo cortile a sinistra di Via A. Milano. Sulla campana, nella stessa fusione fu impressa la dicitura: “Dono del notaio Giacalone Giuseppe”. Volendo approfondire l’argomento ho effettuato delle ricerche e da un mio carissimo collega e amico Baldo Ingoglia, anche lui in età avanzata son venuto a conoscenza che presso questa fonderia, intorno al 1940 aveva effettuato l’apprendistato: il proprietario era Antonino Tommaso, chiamato, secondo l’antica tradizione paesana “lu zzu Ninu lu campaniddaru”, che nella bottega era aiutato dal figlio Giacchino e dal genero Liborio; il Tommaso fu anche assessore e sindaco della città di Castelvetrano. Il mio amico Baldo, inoltre, ha aggiunto, che esisteva in Via Mannone, di fronte alla farmacia Giardina un’altra fonderia di un certo Giacchino Ingoglia. Visto che siamo in argomento, mi fa piacere aggiungere, che in quegli anni si costruivano ancora i carretti e queste fonderie fondevano le parti in rame, dei carretti, come “li punti d’asta” (la parte terminale di davanti delle aste), “li usciuli” (le boccole delle ruote) e “li mmurri d’asta” (la parte terminale di dietro delle aste); per questo motivo l’artigiano addetto alla fonderia veniva chiamato anche “ramaturi”. Per la fusione della boccola occorrevano 78 parti di rame e 22 di stagno, la stessa percentuale necessaria per le campane, in quanto, col movimento del carretto doveva produrre un suono caratteristico di tipo “argentino”, che serviva da accompagnamento delle nenie solitarie intonate dal carrettiere durante i suoi lunghi viaggi. Senza questo rumore caratteristico (lu tonu), il carretto perdeva del suo valore. La vecchia chiesa di Santa Lucia, meglio conosciuta come la chiesa dell’Immacolata, che si trova ad angolo fra Piazza Dante e Via Campobello, oggi fatiscente, fino al 1940 circa era amministrata dal sacerdote Domenico Giacalone, fratello del notaio Giacalone già citato. Padre Giacalone abitava nella canonica attigua alla chiesa; alla sua morte fu sepolto sotto il pavimento davanti l’altare maggiore, dove dovrebbe esserci ancora una lapide a ricordo. Dopo la sua morte, a celebrare la messa andava il parroco Antonino Salvaggio della parrocchia di San Giovanni. Nelle cappelle della chiesa, ci tiene a precisare Michelino Giacalone, c’erano le statue dell’Immacolata, di Santa Lucia, di San Raffaele Arcangelo e un quadro con l’effige di San Giovanni. Dopo il sisma del 1968, non effettuando i necessari restauri, nel 1970 il tetto della chiesa cadde, mentre il campanile fu consolidato. Ma la campana a quanto riferisce il guardiano, che in quegli anni ancora vi abitava, venne prelevata da un prete, padre Gandolfo di Castelvetrano (che, per la precisione, prima era monaco), assieme a due operai, e con l’autorizzazione del vescovo si portò la campana a Salaparuta, per collocarla in una chiesa di nuova costruzione che ne era priva. La statua dell’Immacolata, di Santa Lucia e due mezzi busti di San Pietro e Paolo più un altro monumento dedicato al parroco Errante Parrino furono portate presso la chiesa di San Giovanni in una stanza attigua alla cappella dell’Immacolata. Purtroppo, dopo il terremoto e il restauro della chiesa, le statue sono state spostate. Dietro l’altare maggiore della chiesa dell’Immacolata è sepolto il canonico Giovanni Vivona (Castelvetrano 19/4/1763 – 22/7/1830), che fu un letterato, storico, insigne oratore, dedito allo studio delle scienze e delle matematiche e procuratore della Collegiata di San Pietro, che Gianni Diecidue definisce “Un pensatore solitario tra ‘700 e ‘800”. Fu uno dei grandi dimenticati, che spesso porto alla mente dell’opinione pubblica, affinché non ne venga smarrita la memoria.

          Vito Marino


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