Pubblichiamo le opinioni e i ricordi di chi ha vissuto il sisma del ’68. Cominciamo con l’ispettore scolastico Vito Piazza.
di Vito Piazza “Credo che riflettere sul terremoto di 50 anni fa sia non solo doveroso ma utile. Altrimenti se consideriamo quella tragica esperienza solo come un’esperienza, non servirà a ricordare le vittime, i disagi, le ferite, le perdite e gli sciacalli e gli avvoltoi che sul terremoto e sui terremotati hanno speculato e vissuto: come dimenticare chi pur di farsi una bella casa con piazzale privato e cantina e camino non ha esitato a cacciare dal proprio spazio che però apparteneva a poveri disgraziati senza santi in paradiso coloro che “ingombravano” un cammino cinico e baro? Come dimenticare le ruberie dei tecnici e dei politici che ancora se la godono? Come dimenticare la distruzione dei cortili che i geografi di tutto il mondo indicavano – insieme a quelli di Sambuca – i più belli del mondo? Come dimenticare la Vanedda cacata tanto buia quanto misteriosa che Dedalo aveva disegnato? Ho tentato di scrivere tutto questo nel mio Sicily, un romanzo che nessuno ha letto. Ai partannesi la memoria dà fastidio. E perciò CELEBRIAMO il terremoto, la fuga al nord in pigiama, le tendopoli grondandi d’acqua, le baracche eterne? Ma di questo ho già scritto. Ma è come se avesse parlato il sindaco di Sciacca: tradizione vuole che non si sia ascoltato da nessuno. Vox Clamans in deserto. E perfino uno dei più bei Murales che il nostro paese abbia mai avuto e che rappresentava un avvoltoio rapace che ingoiava la città è stato cancellato. E gli autori – tra i quali il sottoscritto – vennero chiamati dai carabinieri e minacciati dalle autorità. Si mancava allora e si manca ancora del senso delle proporzioni: gli autori del Murales erano più “pericolosi” delle scosse. E per anni gli abitanti dei paesi vicini ci prendevano in giro per quelle enormi colate di cemento che fanno finta di essere autostrade di ingresso verso una grande città ormai diventata un paese per vecchi. Ricordo i sopralluoghi con Danilo Dolci, con Lorenzo Barbera, con Ernesto Treccani, con Bruno Zevi: quest’ultimo mi faceva notare come le vie a nord fossero disposte secondo i nomi di città che nessun partannese conosceva: via Trieste, via Napoli, via Venezia. Mi disse: Ma tu che fai il maestro, l’hanno fatto perché i ragazzi imparino la geografia? Qualcuno ricorderà quel sogno bellissimo della CITTA TERRITORIO il cui valore profetico si vede oggi. 50 anni dopo- nelle funzionali città metropolitane. Il resto è storia. E oltre alle poche, pochissime indagini della Magistratura non è mancato chi – pur avendo 4 anni quando scoppiò la tragedia – si definisce come figlia del terremoto e vende libri sulla pelle dei poveri contadini, dei poveri pastori, dei partannesi che poveri erano prima del terremoto e più poveri dopo. Il resto è routine tutta italiana: c’è da ricostruire un tetto sicuro? E quanto cemento ci vuole? Meglio le autostrade che sono tutte di cemento.
Non ho l’autorità per accusare nessuno. Ho solo voglia di ricordare mia madre, donna ‘Nzula per tutti, che ebbe a dirmi (ed era una di quelle madri che baciavano i figli solo quando dormivano) sapendo che “ero studiato”: “Vitù, ma che cosa ho fatto di male per essere stata reclusa nelle baracche di Vallesecco a vent’anni?”. Mia madre pur essendo esperta di aritmetica si sbagliava. Non erano vent’anni. Erano 19.
Questo il lamento. Ma ogni partannese “onesto” deve sapere che quando dopo qualche anno toccò al Friuli, si disse che i friulani avevano saputo “rimboccarsi le maniche”. Noi eravamo i soliti piagnoni meridionali che si aspettavano tutto dall’alto e non avevamo capacità imprenditoriali. Ma dall’alto scendeva solo mafia. E malgrado questo cancro i primi sottoscrittori di una difesa più adeguata per i successivi terremoti siamo stati proprio noi. Ora arrivano subito le tende. Noi siamo vissuti per mesi sotto i tendoni dell’uva. Noi? No. Solo le donne. Gli uomini ai margini, sotto la pioggia. Senza neppure poter dire: Piove, governo ladro! I ladri erano qui. Tra noi. Adesso il gruppo di “Partanna mpinta a mala banna” ha presentato un progetto che si snoda tra teoria e pratica, tra RI-flessione e azione. Si tratta di coinvolgere tutto il paese affinché si discuta e si FACCIA: come comportarsi in caso di un sisma futuro (ehi tu, ti ho visto sai? Non è educato toccarsi lì), le prove di evacuazione sono sufficienti? Esiste un piano di sicurezza civile? E se la scampiamo, cosa sappiamo mangiare? Personalmente non so distinguere una ortica da una burrania e credo che anche altri non abbiamo questa competenza. E se dovessino rimanere senz’acqua per bere? Saremmo capaci di filtrare magari con una canna una polla di acqua non “garantita”? Come ispettore sono stato inviato in varie zone terremotate e ho imparato molto, ma non abbastanza? Perché non andate a leggere la proposta, senza pregiudizi, facendo in modo che il Comune non si rivolga ai soliti teorici ma valorizzi quelle competenze che ciascun partannese ha acquisito nella sua esperienza e che ciascun “vecchio”, quindi, in un paese di vecchi possa insegnare le “survival skills”? Forse il denaro che arriverà, almeno, non finirà in chiacchiere e tabacchiere di lignu”.
di Vito Piazza