TU SEI DI PARTANNA SE…ed altre autocelebrazioni

di Vito Piazza.    Partanna produce poeti, tanti, troppi. Ma non esistono più siciliani in grado di produrre quella Sicilia dolorante e poetica, sublime e sofferente che scrittori come Verga, Pirandello, Capuana, Vittorini, Martoglio Quasimodo e mille altri meno noti sono stati in grado di creare: scrittori che furono poeti e poeti che furono scrittori. Sublimi, ma doloranti nello scrivere. Uno di questi, Luigi Capuana a cui era stata dedicata una scuola, è stato sfrattato per far posto ad una Levi Montalcini, persona degna, mentre Capuana… Tra i tanti o pochi stereotipi c’è quello di una Partanna come terra di contrasti, di contraddizioni, di opposti estremi che si toccano per respingersi per poi ritoccarsi o ritrovarsi e perdersi e ritrovarsi e riperdersi: insomma domina la monotonia. A Partanna la linearità non è mai esistita, non esistono segmenti di tempo e di spazio: unico è il tempo, continuo lo spazio e vuoto. A Partanna non ci si mostra, ci si esibisce: le cose furbe si fanno perché gli altri le vedano, ammicchino, magari condividendo col vicino di turno con una leggera gomitata chiamato in causa in un gesto inutile perché l’altro ha già capito, nello stesso tempo in cui ha visto. Questo vale per esibire la macchina nuova o per mostrare quanto la propria fedina penale sia sporca. L’ammiccamemto col gomito è un gesto funzionale, ma pleonastico, un richiamo ad un’empatia malata in cui più l’argomento è comune ai parlanti, meno si ha bisogno di parole. Il siciliano è perennemente ubriaco. Ma non di alcool. Ebbro di sé, di quelle credenze che comportano l’uso di due o tre neuroni e che si chiamano PREGIUDIZI, giudizi dati prima. E così si confonde un onesto curriculo – dichiarato e verificabile – con VANTERIA, mentre si loda la modestia di chi non ha fatto mai niente e viene promosso nella pubblica amministrazione, nella scuola, nella politica. Nessuno degli attuali “promossi” si chiede PERCHE’: se per meriti o perché servi del potere. Dei partannesi autoctoni non sappiamo niente anche se essi vivono ancora in ciascun siciliano, anche il più evoluto, anche il più colonizzato o continentalizzato che sono poi la stessa cosa. Primi in tutto i partannesi, esagerati fino all’efferatezza nei delitti di mafia del passato, esagerati e traboccanti nelle gentilezze che portano comunque all’annientamento dell’altro. E’ questa la ragione per cui in Sicilia, non ti ospitano, ma ti adottano. Togliendoti la libertà, togliendoti il respiro, con le gentilezze, le cerimonie, i cannoli, gli ingozzamenti. Sono felici se ti vedono morto? No, no, il morto non è cosciente, sono felici se riescono ad annientarti, a farti diventare un niente sepolto da omaggi, gentilezze, cerimonie, regali. Tu devi diventare niente, un sacco vuoto da riempire: di carezze, di regali, di omaggi oppure, come nel passato, di pallini. Di piombo. Se non piaci. La spiata: il “movente” della spiata non è tanto il dispiacere comune che un amico prova per un altro amico o il perché il suo senso morale glielo impone contravvenendo all’undicesimo comandamento che impone di farsi i cazzi propri, il movente sta nel gusto che si prova a far vedere che uno – lo spiante per necessità amicale – è esente e sempre lo sarà da questa disgrazia. Dei mafiosi non si parla. Ma si seguono i principi criminali: lu no è paci, lu sì è guerra. Corollario del quale è una vera e propria tecnica che si raggiunge con training mirati e specifici: “Negare. Negare sempre. Anche l’evidenza”. E i ragionamenti oltre a non seguire un filo logico non hanno mai una conclusione deduttiva o induttiva interna o derivante dalle varie argomentazioni. Non sono i partannesi che hanno creato i proverbi, ma i proverbi che hanno creato i partannesi. Stesso discorso per i miti. Sono comparsi prima i personaggi e poi le persone. E’ questa la vera lezione del Pirandello dei SEI PERSONAGGI IN CERCA DI AUTORE. “Tanti testi tanti mazzi”. Il futuro è fatica, è fatto di cose da fare, di attività. Perciò nella lingua siciliana il tempo futuro non esiste. Viene da pensare che a incentivare questa deficienza siano stati i partannesi ma subito scartiamo l’idea: troppo pigri i partannesi per inventare qualcosa: se c’è un bar in una via aprono un bar nella stessa via, se vedono una spaghetteria ne aprono una vicina e prossimi sono gli artigiani e le agenzie di qualsiasi genere. Creare, innovare, rischiare? Ma siamo matti? Per dire: Domani andrò a Palermo, domani mi alzerò presto, si traducono con delle perifrasi in cui compare il verbo DEVO: dumani je ajjri a Palermu, dumani m’è susiri prestu. Non esiste il futuro, figuriamoci il passato. “Fa bene e scordalu, fa mali e pensaci”. Quest’ultimo non viene praticato perché non conviene e i partannesi sono noti per la cipudda e lu SCURDUSU. “A un parmu di lu me culu…” in questa espressione non solo si afferma orgogliosamente l’omertà; (mi occupo se la cosa dovesse nuocermi) ma anche il mito del MASCHIO siciliano. Si poteva dire “A un parmu di la minchia”. Ma ci si tiene a precisare che non si è gay, arrusi, finocchi… Palermo. Afa. Corro disperato in macchina, ho un appuntamento in via Ruggero Settimo, mi sono perso. D’agosto non c’è nessuno. Finalmente un vigile. Sopra l’unica pedana da vigili rimasta in Europa. Una frenata e con disperazione dico: – Scusi dovrei andare in via Ruggero Settimo! Cala un braccio. Lentamente. Tanto lentamente che dieci macchine fanno in tempo a passare. – Mi scusi, dovrei andare in via Ruggero Settimo! – E perchè non ci va? La flemma gli inglesi e i palermitani l’hanno imparata da noi partannesi, capaci di dire sempre che non è successo niente. Esempio: la moglie corre incontro ai soccorritori: – Chi successi a me maritu? – Nenti, nenti. A so maritu lu stannu purtannu ncapu na scala -. I partannesi non credono in Dio. Almeno non nel Dio amore. In tempi difficili funziona solo il timor dei. Troppi dominatori, troppi potenti sono i partannesi. Perciò credono solo nei Santi che sono considerati degli avvocati capaci di chiedere la clemenza della Corte, cioè Dio. E se hanno un santo protettore (oltre a quello che vive sulla terra e che a volte chiamano onorevole) fanno di tutto nel venerarlo per non dispiacere agli altri santi. E perciò in famiglia a ciascuno il suo santo e non di rado le processioni si tramutano in competizioni come fossero Inter-Milan o che altro. Pur sapendo che Carlo Marx si trova già incazzato nella tomba dopo aver visto il PD frequentato da fascisti e democristiani, noi, che siamo cattivi, non abbiamo pietà e modifichiamo le sue parole (del resto tutti criticano Marx senza averlo mai letto): UNO SPETTRO SI AGGIRA PER PARTANNA: uno spettro ossessiona la società e la cultura partannese: si tratta del PARTANNESISMO, forma degenere e difensiva di quanto di peggio la nostra città dei Fossi più che dei fossati abbia mai prodotto. I social (a cui anch’io ho partecipato con la sola scusante di essere un immigrato digitale e per cui non chiederò mai abbastanza perdono) ne sono un’immagine speculare: Partanna quantu tu vogghiu beni e quantu ti trattu mali (quest’ultimo piccolo e raccapricciante gruppuscolo al servizio di qualcuno che crede di essere una regina), ecc… Il “partannesismo” ha, infatti, permesso, e consente ancor oggi, di assolvere tutti e tutto dalle proprie colpe, in nome di un interesse superiore che parrebbe essere quello della difesa indiscriminata del “proprio” status identitario, che il proverbio – idiozia dei popoli – ha scolpito nella formula letterariamente felice, in realtà devastante e tragica, “difenni lu to, o tortu o dirittu”, difendi il Tuo senza che tu ti debba porre il problema se quel che difendi sia giusto o sbagliato. Enzo Culicchia – l’unico politico intelligente della nostra città pur discutibilissimo – seppe interpretare bene questo sentimento popolare e vive ancora immortale fra il popolo partannese ma senza che più lo nomina. E Stante il fatto che gli attuali politici sono per lo più mezze calzette. E i pochi lettori ci perdonino se per fare degli esempi ci allontaniamo dal presente: di denunce per diffamazione ne abbiamo già abbastanza, anche se tali denunce contengono pettegolezzi e rappresentano delle medaglie per chi crede in una informazione corretta. Notarbartolo, nel secolo scorso, aveva, infatti, denunciato una delle più vergognose vicende di corruzione, malversazione e mafia che abbiano mai interessato il ceto dirigente isolano. Sicilianismo fu, ancora, la rivolta degli elettori di Nunzio Nasi che, riconosciuto colpevole di peculato e condannato a 11 mesi di reclusione, fregandosene della sentenza di colpevolezza, fu provocatoriamente rieletto da quella Sicilia che, come si legge nella sua stele funeraria, «tenace e fedele ne visse il dramma e conclamò l’innocenza al tempo grigio della bufera». Partannesismo è quello che arriva, perfino, a marcare in termini positivi il comportamento mafioso, e che solo a parole ricorda Rita Atria ed elegge mafiosi e condannati. Del resto anche Pitrè sembrava orgoglioso della mafia. “Per andare ad anni più recenti, fu la rivolta milazzista, minestrone maleodorante di trasversalismo ante litteram, che ebbe l’effetto pratico di bloccare, sul nascere, l’unico progetto di sviluppo industriale che la Regione siciliana abbia concepito in 65 anni di storia”. Il partannesismo dunque, come malinteso senso del dovere di difesa di un certo buon nome di una piccola città nota più per i fossi che per i fossati: un lamentoso e mugugnante strumento di denuncia dei presunti torti che i nostri governanti avrebbero fatto. Il partannesismo è allontanamento dalle regole della legalità per sostituirle con l’egemonia dei poteri forti, delle regole dell’illegalità. Così è possibile vendere la balla che il drammatico degrado, vissuto dalla nostra terra, sarebbe solo colpa dello Stato e di quei cattivi dei nordisti. Nel numero scorso scrivevo che i partannesi non hanno memoria. Ora si potrebbe affermare che non hanno ragione. L’hanno addormentata. E il sonno della ragione genera mostri. Sei di Partanna se…Un modo per far dimenticare, in nome di un presunto presente in cui c’è benessere e lavoro. Dove? A Partanna?. Prendete un problema di qualunque natura (politico, sociale, culturale, tecnico o altro) e datelo da risolvere a due italiani: uno milanese e l’altro siciliano. Dopo un giorno, il siciliano avrà dieci idee per risolvere questo problema, il milanese nemmeno una. Dopo due giorni, il siciliano avrà cento idee per risolvere questo problema, il milanese nessuna. Dopo tre giorni, il siciliano avrà mille idee per risolvere questo problema, e il milanese lo avrà già risolto (Giuseppe Tomasi di Lampedusa).Qualunque cosa possa accadere ai Siciliani, essi lo commenteranno con una battuta di spirito – Numquam est tam male Siculis, qui aliquis facete et commode dicant (Marco Tullio Cicerone). Vito Piazza


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